Imprese: e se le dimensioni contassero?

In quali settori si concentrano le imprese della Brianza? A quante persone danno lavoro? Che dimensioni hanno le nostre imprese? Ci sono delle differenze rispetto alla media nazionale? Proviamo a rispondere a queste domande

Che cos’è e perchè impresa

I dati di cui andremo a parlare arrivano da Istat e sono aggiornati al 2016. Facciamo però un passo indietro, cosa vuol dire impresa? La definizione che dà l’ente statistico è particolare: impresa è una qualsiasi unità giuridico-economica che produce beni e servizi destinabili alla vendita, con scopo di lucro. Oltre che alle forme giuridiche più ovvie, cadono sotto questa voce le cooperative, i consorzi di diritto privato, gli enti pubblici economici e le aziende pubbliche dei servizi. Inoltre, sono considerate imprese anche i lavoratori autonomi e i liberi professionisti.

I principali settori

Guardiamo in Brianza e affidiamoci alla divisioni per settori “Ateco 2007“, che individua 17 aree principali. Incominciamo con il guardare il numero di imprese attive: i primi cinque settori sotto questa voce raccolgono il 70% delle imprese totali, con i primi tre che da soli rappresentano invece il 53%.

Vedendoli in ordine, il settore con più imprese attive è il commercio all’ingrosso e al dettaglio, che comprende anche la vendita e riparazione di autoveicoli, con 14536 attività (21% del totale). Seguono le attività professionali scientifiche e tecniche, ramo che di fatto comprende la maggioranza dei liberi professionisti, con 11452 “imprese” (17%). Al terzo posto troviamo il settore delle costruzioni (13%), seguito dal manifatturiero (11%) e dalle attività immobiliari (8%).

Tuttavia, il numero di imprese attive ci dice relativamente poco perché non relazionato alla dimensione delle imprese e quindi, a livello tendenziale, anche alla capacità produttiva: è per questo rilevante considerare il numero di addetti , cioè i lavoratori dell’impresa complessivi (dirigenti e dipendenti), divisi tra i vari settori. La situazione cambia, ma fino ad un certo punto: i primi quattro settori rimangono tali, con qualche inversione nella gerarchia.

Come storicamente ci si aspetta dalla Brianza, il manifatturiero si prende il primo posto: con 90378 posti di lavoro, impiega infatti il 33% degli addetti totali. Segue il commercio all’ingrosso con 59355 posti, pari al 22%. Questo significa che da soli i primi due settori danno lavoro a più della metà dei lavoratori così conteggiati. Al terzo, quarto e quinto posto troviamo rispettivamente le costruzioni, le attività professionali e la sanità, tutte intorno a 19000 posti e quindi il 7%.

Brianza chiama Italia

Ciò che abbiamo visto qui sopra è in linea con il contesto medio italiano? La risposta è “tendenzialmente sì”. Per quanto riguarda la parte relativa al numero di imprese per settore i dati sono grossomodo identici: le prime quattro posizioni sono analoghe, mentre le attività immobiliari in quinta posizione vengono scalzate dalle attività nel settore della ristorazione e dei servizi di alloggio, che risulta essere più sviluppato nel resto della penisola.

Per il numero di addetti, il manifatturiero rimane in cima alla classifica, perdendo però ben 11 punti percentuali rispetto alla realtà della Brianza. Troviamo poi un sostanzialmente identico commercio all’ingrosso mentre al terzo posto riappare quel settore alberghiero (8%) che in Brianza non risulta trainante.

Siamo forse troppo piccoli?

La sezione conclusiva della nostra analisi si focalizza sulla dimensione delle imprese del territorio. Sappiamo che tanto in Italia quanto in Brianza la realtà più comune è quella della piccola e media impresa: è davvero così? Assolutamente sì, con la parte del “media” che risulta forse anche troppo generoso. Delle 68130 imprese attive in Brianza nel 2016, 66487 avevano meno di 10 addetti. Questo vuol dire che il 95% delle attività del territorio non riuniva più di nove persone. Se ci aggiungiamo le 3184 tra i 10 e i 49 addetti, abbiamo che il 99.5% era sotto i 50.

Chiaramente, la distribuzione del numero di addetti non è così drastica: le pochissime imprese sopra i 250 membri danno infatti lavoro al 24% del totale, per ovvie ragioni di multipli.

Chi è che osa un po’ di più in questo contesto di piccole imprese? Il settore manifatturiero ha 40 delle 84 aziende in Monza e Brianza sopra i 250 addetti, seguito dal commercio all’ingrosso che ne ha 14 e dalla sanità con 8, con tutta probabilità strutture ospedaliere. Lo stesso se si guarda alla fascia 50-249 addetti, tranne che al terzo posto troviamo il settore delle agenzie di viaggio, noleggio e supporto per le imprese.

Si può crescere così?

I dati che abbiamo appena esposto sono analoghi se si allarga lo sguardo al contesto italiano: l’impresa media in Monza e Brianza ha 4 addetti, l’analoga media italiana è di 3.8. Questa situazione può portare a diversi problemi: il primo è la limitata capacità di innovare. Se è vero che la piccola impresa gode di maggiore flessibilità sul piano decisionale e burocratico, d’altra parte non ha la disponibilità finanziaria per fare grossi investimenti, a causa sia di una scarsa accessibilità a capitali che di un’impossibilità nel sostenere grandi rischi. Allo stesso tempo non ha la possibilità di pianificare un’ammortizzazione dei costi tramite l’economia di scala, ossia la capacità di abbassare i costi di fronte ad un sensibile aumento della quantità venduta. Innovazione e investimenti sono le due fonti primarie di crescita nel contesto competitivo, che ne potrebbe risultare quindi ampiamente vincolata.

Cito un secondo aspetto: la competizione con i grandi produttori provenienti dall’estero. Questa risulta ancora più difficoltosa se non c’è possibilità di rappresentare una reale alternativa, o una “minaccia” in termini di mercato, ad un produttore straniero che seppur senza il marchio made in italy è in grado di utilizzare le sue dimensioni per offrire prezzi più ridotti, soprattutto se l’economia non cresce, come da qualche mese a questa parte.

In generale, il fenomeno si può riassumere in una bassa produttività ed uno scarso accumulo di capitale, ossia una quantità di risorse risicata rispetto alla quantità prodotta, che hanno portato l’economia italiana ad una condizione di stagnazione.

Tutta colpa delle aziende?

No, la colpa, se c’è una colpa, non è tutta interna alla dimensione delle aziende. Gravi mancanze possono essere infatti attribuite allo stato: in primo luogo a mancare è un sistema di incentivi serio, che faccia sentire un supporto agli imprenditori desiderosi di innovare, che sono invece scoraggiati da una politica di spesa pubblica che offre sussidi a casaccio, senza pensare agli effetti di lungo periodo. Un altro elemento che disincentiva l’imprenditoria è una burocrazia inefficiente, soffocante o macchinosa, che allunga le tempistiche: tutti pregi di cui il nostro sistema si può fregiare.

Un altro fattore di contorno allo sviluppo aziendale è il sistema infrastrutturale: grossi business hanno bisogno di una rete di comunicazione ampia e fruibile, soprattutto per il commercio di beni che in una visione di ampia scala non può prescindere dagli scambi con agenti esteri, che sono a loro volta incentivati da una riduzione di costi e tempi di viaggio. Anche qui, siamo davvero sicuri che bloccare grandi opere in questa direzione possa aiutare a crescere le imprese? Io non credo.


Fonte dati: Istat
Immagine: MSPC

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