Accoglienza e integrazione in Brianza: partiamo dai dati

E’ forse l’argomento più politicizzato e discusso degli ultimi anni in Europa. E qui da noi? Siamo informati su cosa si intende per accoglienza in Brianza?

Premesse

Iniziamo con il dire che per la prima parte dell’articolo si parlerà di “richiedenti” asilo, quindi persone che hanno chiesto all’Italia di poter ottenere lo status di rifugiati. Per fare in modo che ciò accada il candidato deve rispettare alcuni parametri, in particolare deve dimostrare di aver subito nel suo paese d’origine persecuzioni che vìolino i diritti umani (maggiori informazioni qui). Occorre circa un anno prima che questa richiesta venga accettata o respinta. In attesa dunque che la burocrazia faccia il suo corso, coloro che sono in attesa di risposta vengono invitati a soggiornare nei C.A.R.A. (centri di accoglienza per richiedenti asilo).

Dal marzo 2014 RTI Bonvena è una rete che gestisce sul territorio di Monza e Brianza il
progetto di accoglienza di persone richiedenti protezione internazionale composta dai due maggiori consorzi della provincia, il Consorzio Comunità Brianza e CS&L.” Così si definisce, nel report pubblicato quest’anno, l’ente che in Brianza gestisce l’80% (*) dei richiedenti asilo, fonte di dati per questo articolo. Bonvena applica il modello “accoglienza diffusa”, che consiste nel dividere nel modo più equo possibile il flusso migratorio per evitare eccessivi concentramenti in singole città.

Quanti ce ne sono qui in Brianza?

La domanda più banale e legittima. Si parla, ad Aprile 2017, di 1073 persone registrate, quindi possiamo stimare (aggiungendo un 20% di richiedenti non inclusi nella rete RTI Bonvena *) un numero totale di 1270 migranti. Questa cifra corrisponde allo 0,14% della popolazione della provincia di Monza.

Dai dati emerge che il Comune con più migranti accolti è certamente quello del capoluogo, poiché più popoloso, ma analizzando invece la percentuale di richiedenti sul totale degli abitanti nelle singole città otteniamo dei risultati curiosi. Risulta infatti il piccolo comune di Camparada, circa 2000 anime, ad essere in testa alla classifica: IMG-20171129-WA0016

Il numero di persone arrivate durante gli anni riflette i dati nazionali, con il 2016 in testa per numero di nuovi migranti che hanno richiesto lo status di rifugiati rispetto all’anno precedente (sempre per quanto riguarda i dati di RTI Bonvena *)

Richiedenti asilo

 La maggior parte dei richiedenti arriva dalla Nigeria (fonte RTI Bonvena), il Paese più popoloso dell’Africa e uno con i più alti tassi di crescita demografica.

E’ bene ripeterlo: i grafici sopra si riferiscono esclusivamente ai richiedenti asilo; gli stranieri senza ancora la cittadinanza con permessi in regola per restare nel nostro territorio, invece, sono molti di più (a parte il caso particolarissimo del comune di Camparada):

IMG-20171129-WA0018
Fonte: www.tuttaitalia.it

Conclusioni: no, anzi “ni”

Solo qualche numero? Tutto qui? Per questo articolo purtroppo sì. Il tema è altamente complesso, e merita di essere analizzato dividendolo per vari aspetti: un lavoro che speriamo di realizzare nel tempo. Detto questo, i dati ci forniscono comunque delle basi d’appoggio su cui riflettere.

  • Innanzitutto mettono bene in evidenza l’enorme differenza che intercorre tra i termini “richiedenti asilo”, “migranti” e “stranieri”: spesso usati nei discorsi in modo intercambiabile, abbiamo visto che non sono affatto la stessa cosa. Per ognuna di queste categorie, infatti, i numeri, le esigenze, e gli interventi da mettere in atto sono diversi.
  •  Una volta dato per assodato il primo punto, bisogna mettere in luce la questione centrale delle nazionalità. Tra gli stranieri residenti, il 19% di tutta la popolazione della provincia viene dalla Romania, Paese membro dell’UE.

 

IMG-20171129-WA0017
Fonte: www.tuttaitalia.it

Scompaiono totalmente gli arrivi da altri paesi dell’Europa (ex-regimi comunisti) se si prendono in considerazione i richiedenti asilo, che anzi sono originari quasi tutti dell’Africa Sub Sahariana: tra le nazionalità africane degli stranieri residenti, invece, si registrano solo Stati affacciati sul Mediterraneo. La migrazione che stiamo vivendo quindi non può essere accomunata, per il diverso dialogo interculturale da mettere in campo e soprattutto per le cause differenti che l’hanno generata, con il primo flusso migratorio degli anni ’90-2000.

  • Ultima considerazione: stiamo parlando di persone con delle esigenze e non di meri numeri. Questo non è  un messaggio finale patetico e buonista, ma sottintende anzi una presa di visione pratica del problema della loro gestione. Non dimenticare mai questa ovvietà ci fa percepire come serva un’organizzazione capillare sul territorio che coinvolga strutture e persone, in un sistema ben più complesso rispetto a quello che ci immaginiamo.

 

 

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