Referendum autonomia lombarda: facciamo chiarezza 

Il 22 ottobre, volenti o nolenti, è ormai alle porte: i cittadini di Lombardia e Veneto sono chiamati a esprimersi, tramite referendum, riguardo la concessione di maggiore autonomia alle rispettive Regioni.

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Potrebbe sembrare che, data l’attuale situazione in Catalogna e la generale perplessità europea nei confronti della dura reazione di Madrid di fronte ai secessionisti, quello di domenica si tratti di un referendum altrettanto decisivo e che possa dare una svolta radicale nella storia della Repubblica, ma così, sicuramente, non sarà. È più che mai importante comprendere quindi che referendum abbiamo davanti e quali potrebbero essere le effettive conseguenze della vittoria del Sì alle urne, in modo da arrivare preparati e informati di fronte ai tablet dei collegi elettorali.

Di cosa si parla esattamente?

Si parla di un referendum consultivo che chiama i cittadini a esprimersi, favorevolmente o meno, riguardo l’intrapresa a livello regionale dell’iter burocratico per richiedere maggiori autonomie amministrative allo Stato centrale: in poche parole di ciò che potremmo definire, brutalmente, come un semplice sondaggio dell’opinione dei cittadini riguardo tale proposta. La possibilità di intraprendere l’iter burocratico per la concessione di maggiore autonomia alle Regioni italiane è garantita ai sensi dell’articolo 116 della Costituzione, che così recita:

“[…] Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie di cui al terzo comma dell’articolo 117 e le materie indicate dal secondo comma del medesimo articolo alle lettere l), limitatamente all’organizzazione della giustizia di pace, n) e s), possono essere attribuite ad altre Regioni, con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei princìpi di cui all’articolo 119.[…]”

La Costituzione sancisce quindi che è diritto di ogni Regione poter intraprendere tale iter, nel rispetto della Costituzione stessa e delle necessità degli enti locali.  Essa però, come si sarà ben notato, non parla né di referendum né di legittimazione popolare: possiamo dedurne che il voto funga quindi unicamente da supporto alla futura richiesta che le due Regioni firmeranno allo Stato centrale. Tale richiesta si farà forte, di fronte a Roma, di una spinta popolare che, pur non essendo necessaria, sarà in ogni caso sintomatica della volontà di cambiamento espressa dai cittadini.

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Poniamo ora che vinca il Sì e che si riesca a intavolare una trattativa con lo Stato centrale, riguardo quali materie la Regione potrebbe ottenere maggiore autonomia?

Rileggendo l’articolo 116 della Costituzione, integrandolo con la lettura dell’articolo 117, si possono apprendere quali siano le materie su cui la Regione potrebbe ottenere maggiore autonomia.

Il terzo comma dell’articolo 117 enumera infatti quelle che sono già “competenze concorrenti” tra Stato e Regione che quindi passerebbero in mano alla sola amministrazione regionale. L’elenco di quest’ultime è molto lungo, si tratta di decine di competenze. Eccone alcune rilevanti e su cui è stata spesso fomentata la campagna politica per il Sì:

  • istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche, e con esclusione della istruzione e della formazione professionale;
  • coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario;
  • ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori produttivi;
  • produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia;
  • grandi reti di trasporto e di navigazione.

Il secondo comma enumera invece quelle che attualmente sono materie di competenza unicamente statale; di tutte queste solo poche competenze passerebbero nelle mani della Regione, ovvero:

  • giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa; (limitatamente all’organizzazione della giustizia di pace)
  • norme generali sull’istruzione;
  • tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali.

L’autonomia porterebbe quindi indubbiamente molta più libertà d’azione nelle mani della Regione, ma allo stesso tempo molta più responsabilità: ci sono diversi casi in Italia sia di amministrazioni di Province/Regioni autonome celebri per la qualità dei servizi offerti che di amministrazioni che, essendosi dimostrate poco lungimiranti nei propri progetti di sviluppo economico, si sono trovate a dover “scendere a Roma con il cappello in mano” per richiedere un aiuto statale.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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